Pubblichiamo la tesi di Laurea di Alessandro D’Ugo, dal titolo Andrea Raia (1906-1944): l’impegno per i Granai del Popolo e l’omicidio senza colpevoli, anno accademico 2016/2017, relatore Claudia Giurintano, Corso di Laurea in Scienze dell’Amministrazione, dell’organizzazione e della consulenza del lavoro. Un ottimo contributo su una delle vicende più significative della storia di Casteldaccia, che va a integrare il nostro approfondimento pubblicato nel 2014.
Consulta il saggio integrale di Alessandro D’Ugo.
Di seguito riportiamo le Conclusioni.
Questo saggio si apre con la premessa che la storia di Andrea Raia va considerata anzitutto come il primo sintomo di un male che di lì a poco sarebbe degenerato. L’ouverture di un’opera che avrebbe suonato identica ogni volta: stessi strumenti, stessi elementi d’orchestra.
Sappiamo – come ricorda l’Avvocato Salvo Riela nella sua introduzione a Placido Rizzotto e altri caduti per la libertà contro la mafia – che negli anni ’40 la vita umana riscuoteva scarsa considerazione (si contarono 245 omicidi in Sicilia solo nel 1944), e data la qualità dei tempi, la notizia dovrebbe stupire poco. Ma sarebbe ipocrita non ammettere, con un certo cinismo, se vogliamo, che lo spirare di talune vite merita il privilegio di una maggiore analisi, semplicemente perché maggiore è il significato che talune morti assumono nel rapporto con l’ambiente e con il tempo in cui si innestano. Senza dubbio la morte di Andrea Raia è tra le meritevoli di tale privilegio.
L’omicidio Raia inaugura la triste stagione delle uccisioni, per mano mafiosa, di militanti comunisti, di sindacalisti e segretari delle Camere del lavoro siciliane, ammazzati in conseguenza delle lotte contadine scatenatesi sull’onda dell’entusiasmo prodotto dalle legislazioni Gullo: un disegno, che nel momento dell’uccisione di Raia, è ancora abbozzato. Non sono ancora state varate le leggi per la distribuzione delle terre incolte e mal coltivate, ma sono già nell’aria dal momento in cui il ministero dell’agricoltura è stato assegnato a un membro del partito comunista. E questa è la prima peculiarità della vicenda Raia: il suo collocarsi in un limbo, entro cui nulla era ancora successo, ma tutto stava per succedere. Tanto è vero che tutte le iniziative legislative aventi ad oggetto il riconoscimento di sindacalisti e politici uccisi dalla mafia in seno alle lotte contadine, non accolgono l’anno 1944, stilando elenchi di soggetti assassinati a partire solo dal 1945. È vero che in una relazione della Commissione legislativa “Lavoro e previdenza” del marzo 1967 venne allegato, quindi dato per buono, un elenco di vittime riconosciute dove compare il nome di Raia, a sua volta contenuto nella legge regionale n. 15 del 31 maggio 1960 che, però, riportava come data di morte di Raia il 23 novembre 1946. Raia era contemplato, sì, ma per un errore. Sul quale errore vi sono pochi dubbi dato il titolo che la legge attribuiva all’elenco: Elenco dei dirigenti politici e sindacali caduti in Sicilia dopo il 1° gennaio 1945. Senza quella svista nella data di morte, Raia non avrebbe trovato spazio tra le vittime di mafia riconosciute dalla legge.
Occorre attendere il 1999 e la legge n. 20 del 13 settembre perché l’asticella del tempo venga spostata indietro di un anno cosicché gli elenchi delle vittime ufficiali di mafia ricomprendessero, stavolta per ufficiale riconoscimento e non per errore, il nome di Andrea Raia. La suddetta legge reca nuove norme in materia di interventi contro la mafia e di misure di solidarietà in favore delle vittime della mafia e dei loro familiari». Alla legge è allegato un «elenco dei dirigenti politici e sindacali uccisi dalla mafia nel periodo compreso tra il 1944 e il 1966.
L’altra caratteristica dell’omicidio Raia, che accomuna gran parte dei delitti contro esponenti di associazioni sindacali o di partiti politici uccisi in Sicilia negli anni ’40, è l’operato di Carabinieri e Polizia, sempre riluttante nell’accettazione di trovarsi d’innanzi a un delitto dal movente politico. A questo proposito appaiono più che utili le considerazioni dell’avvocato Salvo Riela, il quale raccolse e analizzò un’importante mole di atti processuali riguardanti casi di omicidio di sindacalisti ed esponenti politici e li donò all’Istituto Gramsci Siciliano di Palermo, ove oggi sono liberamente consultabili.
“Carabinieri e Polizia – scrive Riela – non erano preparati ad affrontare la situazione e non soltanto per insufficienza di mezzi e personale, mali ricorrenti; per lo più non lo erano culturalmente, essendo abituati a stare dalla parte dei proprietari piuttosto che dei lavoratori. In occasione di un omicidio, la notizia che la vittima era esponente di un partito o di un sindacato, oppure che il delitto poteva originare da ragioni politiche creava scompiglio e turbamento […]. Il primo obiettivo che, tendenzialmente, gli inquirenti perseguivano era quello di escludere il movente politico e di dimostrare che il delitto era avvenuto per ragioni diverse. […] Inoltre – e forse è l’aspetto peggiore – si tentava di sminuire la figura della vittima, descrivendola nel migliore dei casi come un poveraccio, incapace di una militanza politica o di partito […]. Il fatto che questa fosse la linea costantemente seguita autorizza a pensare che Polizia e Carabinieri ricevevano in tal senso disposizioni “superiori” cui dovevano uniformarsi […]. Non va poi dimenticato che, a quell’epoca, la magistratura era l’espressione di una classe gelosa degli interessi e dei privilegi di cui godeva da secoli, per cui operava in modo coerente con questo radicamento sociale”
Fu dunque il tempo il peggior nemico della giustizia e di Andrea Raia. Un tempo caratterizzato da una congiunzione di fattori che rendevano estremamente vischiosa la strada verso la verità.
Ma alla memoria di Raia – almeno presso la comunità per la quale spese la sua tenacia e la sua vita – non fu riservato l’oblio: nel 1969 gli fu intitolata la nuova sede del PCI di Casteldaccia; dal 2001 una piazzetta e un monumento nel centro storico del paese portano il suo nome, ed ogni 5 di agosto alcuni paesani si incontrano per rendere omaggio alla sua memoria, grazie all’instancabile impegno dei suoi discendenti.